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Noi quotidiani politi automatismi

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Non sfuggire, mia cara: c’è da ascoltare fuori

il respiro del giorno, un soffio di primavera,

c’è da raccogliere nuovi amori ad ampie boccate

gioendo ai colori vivi del cielo, e l’azzurro del vento

tra i ciliegi, e la risacca del grande mare

c’è da sentire...

 

Ma tu non hai tempo di veder nascere il sole,

per dare un bacio, una carezza non c’è possibilità:

nelle nostre ampie terse caverne di vetrocemento

non abbiamo tempo: noi non abbiamo noi!

 

Chi sei, da dove vieni, o Signore, che fai qui dentro,

che cosa vuoi da noi quotidiani politi automatismi

ormai che fluiamo silenziosi, inerti,

attenti solo al ritmico regolare sicuro clangore

di queste fabbriche, così sudando olio in camice tecnico,

scrutando bei manufatti noi, sorridenti,

attaccati alle grondaie come grappoli

di colombi tubanti semifelici in attesa

in attesa, in attesa,

in attesa...


 Carla de Falco - 05/03/2012 20:31:00 [ leggi altri commenti di Carla de Falco » ]

ho trovato le ampie terse caverne di vetrocemento molto efficaci.
l’ho letta davvero con interesse, la sua poesia.

 Loredana Savelli - 05/03/2012 19:17:00 [ leggi altri commenti di Loredana Savelli » ]

Quel "non sfuggire" iniziale si ricollega all"attesa" finale, ripetuta quasi con ansia. Allora è un fuggire l’attesa, una sorta di fuga preventiva che coincide con la paura e diventa aspirazione ad una "semi-felicità" quasi disumana e perfettamente assuefatta al "regolare clangore sicuro" in cui ci rifugiamo (se non fosse che...)

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